Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

martedì 8 agosto 2017

Matilde Cassarini - Future's Tricks @ LAGOLANDIA - Lago Brasimone






 “… con la testa rivolta al futuro e gli occhi rivolti al passato.” (Giorgio De Chirico)


Metaforicamente metafisica si presenta la pratica artistica fotografica di Matilde Cassarini.

Per la seconda edizione di Lagolandia, al Lago Brasimone, l’artista presenta un progetto multiforme che comprende la serie di manifesti “Future, Future!” del 2016, “Out of border” sempre del 2016, la serie di “Sovrapposizioni” e di fotografie dedicate al centro di ricerca sulle energie nucleari, in collaborazione con Gioele Villani, entrambe del 2015.



I sette manifesti che compongono “Future, Future!” sono disseminati all’aperto lungo i fianchi e le curvature del Lago Brasimone, innestando una riflessione a doppio taglio.

L’artista ha estrapolato immagini da riviste scientifiche anni cinquanta per poi farli divenire manifesti pubblicitari contemporanei, attraverso i quali nasce spontanea la riflessione sul progresso-regresso, sul presente tramite lo scambio tra passato e futuro e sul ruolo del simbolo nella cultura di massa.

L’artista si interroga su paesaggi futuribili attraverso illustrazioni vintage, molto pop.

Pubblicità apocalittiche? Previsioni? O inquietanti pubblicità di un tempo perduto?

Il tempo è un inganno.

E così i titoli si succedono in una scenario naturale: “Previsioni radioattive”, “Medicapolis”, “Aerei atomici”, “La città del futuro”, “Serpenti d’alluminio”, “Futurismo”, “Alghe”.

Impossibile non pensare ad atmosfere nord europee, come quelle cinematografiche e visionarie di Fritz Lang, o alle sonorità elettriche e minimali dei Kraftwerk. Entrambe, due visioni perturbanti, due cosmogonie che trovano nella meccanizzazione-robotizzazione dei sensi il verbo.

Quelle stesse immagini visive che i Kraftwerk trasmettono inneggiando “superautostrade” telematiche proprie di una celebrazione di un’utopia tecnologica, già decantata dal nostro futurista Filippo Tommaso Marinetti.

Un sentire avanguardistico è dichiaratamente espresso nella traslazione oggettuale della Cassarini, che riflette non solo sul tempo, ma anche sulla trasformazione che esso comporta nello e sullo spazio urbano, quello presente attraverso l’installazione del segno - manifesto pubblicitario e quello ipotetico contenuto in esso.



In “Out of border” presentato per la prima volta in occasione di Fotografia Europea, l’artista ritorna con la sua dialettica di intervento. Ciò che viene analizzato in questa opera è il concetto di confine, così labile e complesso e di spazio naturale. L’artista ha inoltre affrontato il confronto a lei molto caro di analogico e digitale.

Ciò che vediamo, una parte di Italia, non è che una fotografia satellitare ri-formattata con l’utilizzo di un retino fotografico estrapolato da altrettante fotografie di elementi naturali che l’artista ha precedentemente scattato. La fusione tra analogico – digitale ben rappresenta metaforicamente la caduta di ogni confine di appartenenza geo-politica, geo-fisica e geo-etica.



«Un confine è soprattutto e in primo luogo una parola che può essere utilizzata secondo diverse accezioni, in riferimento alla soglia del dolore, al confine dell’essenza, al limite di un disastro, al discrimine tra sanità e pazzia. (…) In un certo senso, i confini sono la pelle dei luoghi e anche una sorta di scorza per la maggior parte delle idee. I confini sono le nostre definizioni. E sono troppo sottili. Non c’è niente da controllare, perché non vediamo mai l’altro lato del confine correttamente»



Sigalit Landau - DeadSee, 2005



Il dialogo tra analogico e digitale, declinato sottoforma di paesaggio fanta-apocalittico, metafisico ritorna nella serie di “Sovrapposizioni” e nella serie di scatti dedicati alla centrale nucleare mai entrata in funzione.

Se le prime ricordano le atmosfere surrealiste di Eugène Atget, nelle seconde è percepibile un’attenzione verso l’archeologia industriale di matrice tedesca, come la famigerata scuola di Bernd e Hilla Becher.

Gli scenari in bianco e nero, abdicano all’assenza di presenze umane, in merito ad un panteismo fantastico, irreale e visionario. La fusione di due negativi, nelle sovrapposizioni, danno origine a nuove visioni, nuove immagini, nuove dimensioni, nuovi vuoti semantici, nuove archeologie visuali stratificate dove lo spazio diviene accesso alla forma del silenzio profondo delle cose.

Le architetture si confondono, che siano esse di cemento o composte di luce ed ombre, i paesaggi si astraggono, mantenendo una purità ed un’armonia formale onirica e rarefatta. La realtà cede il passo ad una dimensione utopistica nuova. Avanguardistica.



Federica Fiumelli










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