“Quando eravamo bambini,
pensavamo che una volta cresciuti non saremmo più stati vulnerabili. Ma
crescere vuol dire accettare la vulnerabilità. Essere vivi significa essere
vulnerabili. “
Madeleine L'Engle, Walking on Water, 1980
Flavio Pacino
indaga e lavora sullo spazio fisico, ambientale tramite la trasposizione
materica del segno.
Un segno
effimero, contemporaneo che sfugge dalla cornice e dal contesto, da una propria
bidimensionalità concettuale per rendersi materia fisica, corpo caduco.
In molti suoi
lavori Pacino conduce e ci conduce attraverso la propria poiesis in una ricerca sull’adattabilità.
Un
adattabilità che diviene sistematicamente vulnerabilità.
Una ricerca
mobile che diviene abbandono di pose precostituite.
“Forse l'immobilità delle cose intorno a noi
è loro imposta dalla nostra certezza che sono esse e non altre, dall'immobilità
del nostro pensiero nei loro confronti.” (Marcel Proust, Alla ricerca del
tempo perduto)
Guardando ad
alcune delle ricerche storico – artistiche tra le più importanti del secolo
scorso come land art, minimalismo e ad alcune operazioni dell’arte povera,
possiamo dire che Pacino ripopola certi codici linguistici utilizzando elementi
semplici sia nella forma che nella consistenza, egli infatti predilige per le
sue installazioni utilizzare (s)(segni)- legni, possibilmente e preferibilmente
non lavorati dall’artista, ma soggetti quindi a erosioni climatiche –
atmosferiche o precedentemente lavorati industrialmente. L’objet-trouvè di
avanguardistica memoria, ritorna prepotentemente, irrompendo in un contemporaneo
liquido, dove il segno etereo
(l’immagine) sembra sempre di più prevalere.
Ecco allora
che la trasposizione fisica di un di-segno (traccia, indizio, interstizio,
visione attraverso la quale, ma mai risolutoria) iniziale essenziale,
costituito da pochi tratti e linee, torna ad occupare spazi di origine diversa,
che siano essi naturali, domestici, o spazi pubblici espositivi come gallerie o
musei. All’artista interessa che i legni utilizzati assemblati con resine
acriliche, permettano operazioni duttili, scultoree, corporee, come corpo
danzante danza, le installazioni di Pacino si innestano delicatamente, soggette
ad una trasversalità temporale di cambiamento dalla quale esimersi è
impossibile.
Adattarsi ad
uno specifico spazio (come in questo caso, per Lagolandia, il lago naturale di
Castel Dell’Alpi) richiede una profonda analisi di contesto, di ambiente; lo
sforzo diventa urgenza e la vulnerabilità ci riporta ad una caducità propria
del contemporaneo, così labile e complessa.
Insisto sul
concetto di vulnerabilità, perché esso coincide puntualmente con una
straordinaria ipotesi, e cioè quella della possibilità dell’essere. Una
possibilità dell’essere modificato, urtato, distrutto, perito, leso,
spezzato. Il legno, come elemento
d’elezione, è una datità fenomenica caduca ma essenziale in natura.
L’alfabeto
visivo di Pacino infatti si nutre di pose e ritmi essenziali, che siano essi
lacci, elastici, fasce, stelle filanti, nastri, rami di piante, l’esilità (una
fragilità tellurica e vibrante alla Calder), lunghezza e leggerezza si
incontrano e si fondono in una trasparenza cosmogonica, per dare forma a
riflessioni sullo spazio e sulla quotidianità. Uno spazio ed una
quotidianità troppo spesso condivise
unicamente virtualmente, depauperate, e
allora occorre (ri) tornare ad una fisicità che come esigenza si prefigge un
dialogo con l’essere mondo e nel mondo.
Vulnerabilità
che vuol essere anche perdita originaria di un elemento o di un segno primario
per poi ricondurlo, riportarlo ad una adattabilità, appunto, di nuove
spazialità temporali. Di ipotesi.
Oggi come non
mai l’arte pubblica richiama grande attenzione sia da parte dei fruitori distratti per così dire, i non addetti o
direttamente coinvolti nel sistema dell’arte contemporanea, che agli esperti,
quali studiosi o critici. Pacino,
giovanissimo, decide di ragionare proprio su queste complessità di condivisone
di spazi pubblici, attraverso una grafia ed una gestualità minimale, fisica,
scultorea, elastica, non invasiva, ma adattabile ad uno spazio critico di
cambiamento. Di condivisione.
Federica Fiumelli
BIO // Flavio
Pacino, Firenze 1993
Inizia il suo
percorso progettando tessuti e pattern all’Istituto Buzzi di Prato. Nel 2010
inizia i suoi studi di pittura nello studio dell’artista Fran Bobadilla.
Si laurea
come progettista in design della comunicazione e del prodotto all’ISIA di
Firenze nel 2016. Dal 2013 al 2016 lavora come assistente progettista nello
studio d’arte e progettazione WAVE BUBA di Firenze.
Attualmente
frequenta il biennio di Arti visive dell’artista Luca Caccioni all’Accademia di
Belle Arti di Bologna. Alterna i suoi studi e il suo lavoro tra arte e design.
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