Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

domenica 1 novembre 2015

roBOt XLR8 Un prisma sonoro





Un prisma sonoro dalle sfaccettature che vincono. Questo è XLR08. Un tag che cela la forza di molti che credono in questo progetto.

Il roBOt giunto all'ottava edizione dimostra letteralmente il fil rouge di quest'anno: in accelerazione. E lo dimostrano i numeri. Oltre 21.000 ospiti tra Teatro Comunale, Palazzo Re Enzo, Palazzo d’Accursio e Fiera di Bologna, considerando anche le tante location off coinvolte (Collegio Venturoli, Dynamo, LOFT Kinodromo, Museo Internazionale e Biblioteca della Musica, Kilowatt, MAST e TIM#WCAP).

Il sold out è stato registrato durante la preview al Teatro Comunale e per la prima volta anche durante tutte e quattro le serate a Palazzo Re Enzo (da mercoledì a sabato). La Fiera, pur non registrando il sold out (il sabato ha totalizzato il doppio di presenze rispetto al venerdì), si è confermata come spazio all’altezza di un grande evento di musica internazionale. 160 operatori tra security, vigli del fuoco e esperti sulla riduzione del danno, tutti concentrati sui controlli per la sicurezza della manifestazione, coadiuvati da oltre 110 volontari. Sono stati accreditati 140 giornalisti, tra quotidiani e radio locali, tv e testate nazionali ma anche blog e webzine di settore. Di questi ben 40 stranieri, arrivati a Bologna da Francia, Spagna, Inghilterra e Germania appositamente per seguire la manifestazione. Un evento che ha mappato la città di Bologna tra sonorità elettroniche e installazioni artistiche, un evento-vento di curiosità e interesse verso il mondo culturale contemporaneo.

Cosa porto con me di questo roBOt? Imparerò ad andare senza mani, proprio come suggeriva l'opera esposta da Dynamo del duo di artisti Antonello Ghezzi, a inchiostro luce di wood, il messaggio rimane indelebile nel buio del tunnel. Che il mondo è complessità. Che vada al diavolo il pensiero liberale della geometria euclidea. In una dimensione altra, frattale, ci porta l'opera FRACTUS#1. I protagonisti, i solidi platonici: un tetraedro e una piramide a quattro facce formate da triangoli equilateri, la strutturalità grafica luminosa, il buio come spazio del possibile, la rappresentazione sonora. Un miscuglio di regole e imprevedibilità ci immergono nel caos deterministico.

Interessanti i lavori video di Alice Dalgalarrondo, Boris Labbé, Gianluca Abbate e Virginia Eleuteri Serpieri. In Contingent Cartographies, Fluid Identities la Dalgalarrondo partendo dalle immagini di Google Street View cerca di creare una particolarissima narrazione attorno a un vagare per immagini apparentemente randomico. La quotidianità slegata diventa invece un percorso coerente e sorprendente. Labbé intitola il suo lavoro già con una parola che ritengo fondamentale per il contemporaneo, Rhizome. Dal micro al macro tutto nell'universo è interconnesso. Interazioni, costruzioni, ricostruzioni, combinazioni. Tutto è in continuo divenire. L'artista ci immerge in mondi ciclici, dove il loop diviene sinonimo di rigenerazione e rinascita.

Microbioma del duo Eleuteri Serpieri e Abbate è una ricerca priva di forzature di senso, nessuna predeterminazione. Un oceano di immagini all'infinito. In Panaroma invece Abbate (vincitore della call legata a roBOt Buenos Aires) premiato anche al Torino Film Festival racconta le evoluzioni del concetto di "polis", un caos visivo inglobante immerge lo spettatore in ritmi fagocitanti. Si parla dei confini della città, della possibilità di fuggirne, della paura di un ritorno, pena l'esclusione.

Tanti altri artisti coinvolti, tanti nomi, come {movimentomilc}, Yuri Anacarani, Samuel Kerridge, Deep Orchestra, Fuse, Carrie Elston Tunick, Evil Twin, Francesca Fini, Gagliardi&Natale, Glenn Marshall, How to cure our soul, Iocose, Irene Fenara, Junkfood 4tet Piccinini, Matteo Amaral, Mogano w/fax, Perletta Jobin XX+XY visual, Shivkumar Kappala Venkata, Tarsi/Fauve! Gegen a Rhino. Dai dadi triangolari duchampiani di questi ultimi, dall'aleatorietà dell'opera dall'arte alla sua sospensione, come nell'installazione di Luca Pozzi a Palazzo Re Enzo.

Una spugna luminescente in levitazione elettromagnetica su un basamento ottagonale: One church one column rappresenta la capacità di un attore di assorbire a distanza l'informazione circostante. Spazio, tempo, luce e memoria storica si comprimono nel micro-spazio di un oggetto fluttuante. Ecco come ci si sente. Sospesi ci torniamo tra virtualità e fumosità nell'installazione al Collegio Venturoli di Cinzia Campolese. Nel buio di una stanza, un pannello riflettente domina l'intero spazio, situato proprio al centro. Due proiettori che ai due lati del pannello ci regalano un flusso continuo di immagini che si incontrano, scontrano e si fondono tra loro. Con il sound design di Trespur, Continuum vince la call4roBOt con la seguente motivazione: “Un'opera inedita che nella gypsoteca del collegio Venturoli ha trovato, coraggiosamente, perfetta cornice. Continuum si è trasformata in apparato scenografico, mettendosi ampiamente in relazione con lo spazio e il pubblico; un lavoro sulla luce nello spazio, molto legato a poetiche come la Light Art (pensiamo a Anthony McCall), rappresenta una possibile via di sviluppo e di mediazione tra interazione ed entertainment basata sull'esperienza sensoriale".

Nel cuore porterò sicuramente anche la serata di sabato sera in zona fiere, l'immensità di quello spazio ha saputo contenere la fantasia elettronica autunnale di numerosi artisti. "A cielo aperto" come recitava un'installazione presente, sono piovuti nella mio sentire, indelebili, SIRIUSMODESELEKTOR, Siriusmo, e Modeselektor, amici e fautori di uno dei live set che ha sbancato l'Europa in questo 2015, (vanno ricordati di non minor importanza anche i siderali visuals a firma Pfadfinderei).TRENTEMØLLER, le sue ricerche tra minimalismo e sperimentazione, un capitano di scenari spaziali, raramente in consolle, ci torna da uno che sa il fatto suo, a ritmi sofisticati ma densi e decisi. E infine i THE MARTINEZ BROTHERS, un giovane duo che apre letteralmente le orecchie, che spara dritto dritto ai sensi, un dj set da paura che non ha lasciato assolutamente delusi. Al via lo spirito della house, quello più puro, edonista e oltraggioso.

Qualcuno con la mente è rimasto sicuramente là con un #XLR8 stampato a fuoco. Perché #XLR8 è il XXI secolo, è una filosofia, sono gli artisti, è la musica elettronica, è la società contemporanea. Siamo noi.

Federica Fiumelli














Raccontare un luogo - (Tales of a Place)




Raccontare Raccontare un luogo - (Tales of a Place) diviene una sorta di metaviaggio all'interno del narrare un luogo, in un luogo come la Galleria Astuni di Bologna. Curata da Lorenzo Bruni, l'esposizione è stata inaugurata agli inizi dell'estate passata e concluderà il proprio viaggio il 7 novembre. Vi è ancora dunque tempo, per chi non ci fosse ancora passato, per vedere le numerose opere in dialogo tra loro e ideate apposta per l'occasione, degli otto artisti internazionali scelti.

I lavori sono veri e propri dispositivi pronti a innescare una serie di match di riflessione sul processo conflittuale/dialogico che la società ha da sempre affidato alla relazione tra la parola e l'immagine, tra la didascalia e la rappresentazione a cui è associata, tra la cosa e la sua funzione, tra dimensione pubblica e privata. L'approccio alla fruizione è decisamente sismico, negli spazi della galleria le opere non fanno che far transitare il visitatore tra luoghi fisici e immaginati. Tra realtà e finzione.

Oggi la tecnologia ci permette di essere in più "luoghi" contemporaneamente, la velocità non permette una sosta di riflessione concreta. Il virtuale avanza impetuoso. Si è solo di passaggio in maniera superficiale, e non si appartiene mai a nulla in maniera vera e profonda, anche per pochi istanti. La mostra mira quindi a evocare l'esperienza e l'esplorazione di un luogo, piuttosto che limitarsi a nominarlo o presentarlo con delle immagini in tempo reale. È necessario esperire il luogo da cui osserviamo il mondo, andando oltre ogni banale connessione. Qui non si tratta di mete, ma di processi, di meccanismi, le opere-dispositivo devono innescare e generare veri e propri atti di scoperta.

I disegni proposti dall'artista bulgaro Nedko Solakov mi sembrano ottimi ambasciatori del senso più intimo della mostra. In Roads non vi è certezza sulla provenienza o sull'arrivo, quello che viene messo in risalto è il momento della scelta: dove andare. Perché ci si trova lì. Ecco cosa può raccontarci un luogo. È così che i 12 disegni seppia, in bianco e nero, si stagliano leggiadri tra curve di strade immaginate, e le figure si fanno esili e umili, desiderose di andare. E ancora andare. Oltre luogo, oltre tempo. Anche le parole sono luoghi e case, disabitate, affollate, abbandonate, distrutte, ristrutturate. Ma anche abusate e abusive. Come nel caso di Degrado 4U dello storico duo Cuoghi Corsello, che per questa esposizione propone un numero cospicuo di opere, come Piatti con paesaggi, Suf! Azzurrina, 6 Giugno, Cartina torna sole,La zampa di Pea Brain. Un degrado soffice, evanescente, argentato, che accoglie ironicamente e sdrammatizza lo sfruttamento assiduo che ne fanno giornalisti e politici. Cuoghi e Corsello sanno bene cosa significhi esplorare un luogo, marcarlo, farlo proprio nell'esperienza. La zampa di Pea Brain che avvolge l'esterno della galleria riporta alla memoria lo storico personaggio, le oche sui muri della stazione di Bologna. Le tag, la fine degli anni'80', i compagni writer del periodo. Una nostalgia romantica che si riscatta con la triplice fratellanza di memoria/spazio/tempo.

Lo statunitense Mel Bochner, classe 1940, lavora sul confine di ciò che viene definito reale e cosa invece è prodotto artistico. In Measurement plant delle piante da appartamento, quindi soggetti importati e decontestualizzati per eccellenza, sono messe di fronte a una griglia, la loro crescita potrà essere monitorata e misurata. Ciò ci riporta al gesto del mettere un tacca sull'altezza di una persona, ma rimanda anche alle griglie utilizzate in pittura per la copia dal vero e la rappresentazione mimetica. Il luogo di riferimento dell'osservatore sarà quindi quello della rappresentazione e dell'arte oppure quello della natura e dell'oggetto reale?

Una riflessione su ruolo e genesi dell'atto creativo la pone Mario Airò. In L'amour fou a sostegno della tesi duchampiana circa l'illegittimità del sistema della rappresentazione, la "macchina celibe" composta dalle pagine di alcuni libri (Bambini nel tempo di Philippe Besson; Cinecittà di Tommaso Pincio; Ogni cosa è illuminata di Jonathan Sofran Faer e i Romanzi erotici del ‘700 francese) rotea vorticosamente verso lo spettatore andando a costituire un nuovo frammento di narrazione. Le pagine si susseguono in un movimento cicloide, dove le parole sfuggono al senso del tempo, in una costante ciclicità dalle tinte anche ironiche. Una plurinarrazione fuori controllo.

Altro lavoro molto interessante di Airò è Ierofania. Un raggio verticale di luce di wood solidificata fa da perno al testo When tre sacred manifests itself, ed è proprio all'arte come manifestazione che l'artista si rivolge. Ogni oggetto pur rimanendo se stesso diventa sempre qualcosa di altro. Questo il paradosso della manifestazione del sacro. La sospensione, l'attesa e l'aura di mistero si infittiscono a mezz'aria, a fiato corto, dipanando ogni laicità residua.

Antonis Pittas arricchisce la mostra con due opere, Aggregate demand, aggregate supply; Marginal costs; Labour costs tepid e We shall do as We have decided. Nella prima, l'artista greco guarda a un artista del Bauhaus, l'austriaco Herbert Bayer, il quale era solito utilizzare per le strutture espositive "narrative" un sistema a tre colori di forte impatto sull'esperienza del visitatore. Le tre sculture in ottone e acciaio rappresentano invece, ognuna, una linea differente del diagramma di andamento finanziario. L'artista rende così fisso e immutabile un movimento destinato a subire costanti oscillazioni e variazioni. We shall do as we have decided rimane una delle opere che ho preferito. Un'opera frammento che si espande nello spazio espositivo integrandosi perfettamente con il resto. Con delicata forza esplosiva. L'artista indaga il recente uso di gas lacrimogeni da parte di squadre di polizia in città come Istanbul e il Cairo. A seguito di scontri tra manifestanti e polizia, grandi quantità di lacrimogeni vuoti di diverse forme e dimensioni - oltre a pietre, legno e bottiglie d'acqua vuote - vengono lasciate sulla strada, creando un'atmosfera molto distinta, che mostra la "quiete dopo la tempesta". Pittas traduce le forme di questi resti in oggetti scultorei in marmo greco, combinandole con frammenti di testo provenienti da quotidiani e riscritti con la grafite. Da sottolineare anche che il marmo è stato estratto dalla stessa cava dei marmi utilizzati per il Partenone (suggerendo così collegamenti tra il passato e l'oggi), inoltre questi oggetti possono essere presi e riarrangiati dagli spettatori, che si trasformano così in partecipanti attivi. Foreign powers. Gli amabili resti di una civiltà si posano con "disordine pulito" tra il caos e l'odierno bombardamento dell'informazione e un armonioso e composto classicismo.

Christian Jankowsky con il video Tableau Vivant TV del 2010 lavora sul rapporto tra dimensione pubblica e privata. In quest'opera infatti, realizzata per la Biennale di Sidney, vari spezzoni di format televisivi si susseguono, famosi conduttori parlano del lavoro preparatorio intorno all'esposizione. Si conclude poi con la visione della diretta dell'inaugurazione. Si porta così all'estremo la tesi di McLuhan Il medium è il messaggio. Disvelamento. L'artista rende praticabili i luoghi nascosti e privati. E se il mondo frenetico si muove all'infinito senza sosta, da contrasto la figura dell'artista resta immobile proprio come in un Tableau Vivant.

La californiana Suzanne Lacy indaga invece i luoghi di margine, quasi outsider e poco illuminati, quasi dimenticati volutamente e marginalizzati. Secondo l'artista il luogo non può mai essere separato dalle convenzioni sociali e di genere. La Lacy è stata importante esponente di una nuova modalità di performance femminista. In Prostitution notes ha indagato sul tema della prostituzione, ha trovato le prostitute chiedendo ad amici e conoscenti, lasciandosi condurre in un altro mondo, agli angoli delle strade, in ristoranti o bar di Los Angeles.

Wherever you are wherever you go, parlando di angoli, lì dove sembra finire una delle stanze della galleria, ecco che per altezza verticale si staglia l'installazione neon blu di Maurizio Nannucci. Quella dell'artista non vuole essere soltanto una riflessione propria sul linguaggio, sulla nominazione delle cose e sulla tautologia. Si viene a creare una relazione tra lo spazio fisico e l'immaginazione di chi guarda. Lo sguardo si posa. E la mente viaggia, nel passato, in quello che sarà. Non importa. Come sottolinea il curatore Lorenzo Bruni: "Vi è la possibilità di essere un migrante giornaliero - sia a livello fisico che virtuale".

Il moto ascensionale di Nannucci ci accompagna in un altrove, verso un'altra opera di Solakov con la quale mi piacerebbe concludere. On the wing nasce come lavoro site specific per una compagnia di aeroplani in cui l’artista ha scritto testi sulle ali di 6 Boeing 737 – non luoghi per eccellenza – con l’obiettivo di tranquillizzare i passeggeri. Attraverso questa serie di 12 fotografie Solakov continua a far vivere il lavoro, trasformandolo in un racconto dedicato alla passione del viaggiare. Talvolta anche senza meta. Le parole migrano. Come noi. Vagando per luoghi che non solo attraversano ma esplorano. Luogo dunque come conoscenza e sapere, del sé e dell'altro. Luogo come lente di ingrandimento interna ed esterna. Un luogo che ama essere raccontato senza certezze o finali.

Michel Serres scriveva: "Mi piace che il sapere faccia vivere, che sia capace di coltivare; mi piace farne carne e casa; mi piace che aiuti a bere e a mangiare, a camminare lentamente, ad amare, a morire, talvolta a rinascere; mi piace dormire tra le sue lenzuola, mi piace che non sia esterno a me".

Federica Fiumelli