Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

domenica 30 marzo 2014

Incontrandosi nelle curvature. Villanueva e Mapplethorpe.

Ultimo articolo su Frattura Somposta!

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Enjoy!

:)






Incontrandosi nelle curvature.
Villanueva e Mapplethorpe.

Il mio sguardo cadde in una centrifuga pallida, troppo bianca, accecante, azzerante, una cancellazione. Tutto spariva nello stesso momento in cui l’occhio vi si posava distratto.
I faretti luminosi amplificavano quel “white” inglobante e trasbordante, latteo, imparziale, neutro, stavo passeggiando ad Arte Fiera quando mi sono imbattuta nei lavori dell’artista spagnolo Santiago Villanueva.
I lavori esposti sono del 2011 “Series Touch Therapy”, dei senza titoli completamente bianchi, lucidi, smaltati, che risucchiano per l’alta tattilità che invocano sussurrando, si, perché sono incredibilmente leggeri e anacronistici alla vista, e invogliano, provocano gentilmente, hanno voglia di essere toccati.
Villanueva riesce a sfruttare il formato standard della tela, l’oggetto più usato e manipolato nella storia dell’arte, ma la riveste di fredda e lucida plastica contemporanea, mischia storia  e futuro, scolpisce la tela, facendole colare addosso materiali come polistirene, vernice e vetronite.
La produzione artistica di Villanueva dal 2008 al 2013  vede una ricerca stremante verso la purezza tridimensionale delle forme, una lucidità erotica e sublime, apostrofo di un’atmosfera metafisica. I colori usati sono appunto lucidi e monocromi, dal bianco al nero, al blu, al rosso, tonalità cromatiche specchianti, offrono una realtà speculare distorta e scivolosa.
Gocce filanti e eterne cadono dal soffitto e sotto la loro rotondità ecco contrapporsi una cumulo di polvere bianca. Compatezza e scomposizione si trovano contrapposte ma tonalmente in armonia. Tutto è cancellato tutto è ancestralmente concepito. La grande goccia ricorda il latte materno uscente dal seno, o il liquido spermatico, sostanze vitali in grado di generare vite. Vite che in Villanueva sono armonie composte ad hoc, la formalità, ma ancora di più la materia eccede in ogni curva o colore.
Forme disciolte e bloccate per sempre, dinamismo e staticità unite nel soffio vitale della scultura plastica e lucida che riflette distorta lo sguardo.
La serie esposta ad Arte Fiera, rapisce per le pieghe indiscrete che la tela concede a noi voyeur. Non si spoglia, è timida e fiera, come una donna al primo amore, è vergine, è pura, troppo eterea per essere macchiata da qualche rammarico imperfetto.
Le onde, le increspature sono ai margini, outsider informi che si riposano su loro stessi, stropicciature di un pugno su qualche letto disfatto, rievocano alcuni panneggi di una grecità remota. Ricordano anche i panneggi delicati e soavi di Canova, di Psiche qua non è rimasto che la piega distratta, al quale la bellezza è rimasta aggrappata per sempre e poi basta. Le tele-scultura di Villanueva, emanano anche un forte senso di interruzione, un’interruzione armonica, nell’oceano monocromo e piatto della tela bianca che improvvisamente verso la cima o l’angolo infondo trova irrequietezza increspandosi improvvisamente. Un cambio di rotta, una virata, verso una voglia stropicciata e scremata.
Avvicinandosi all’opera e osservando attentamente le onde, ci si perde in quel mare di lattea memoria, i ricordi scivolano nell’orgasmo freddo dell’abisso, e in una colata di neve, qualcuno sembra gridare sofficemente: “
sono qui, nascosto tre le linee curve di un passaggio. Sono qui per ricordarti di quanto sia morbida una pelle un freddo inverno, o di quanto sia caldo sciogliersi nell’estasi di un sogno vellutato.”
Tra le righe perse di un marmo si assaggia la freddezza di un liscio tormentoso.
E in questo erotismo congelato ritrovo per caso la glaciale compostezza formale delle muscolature impresse da Robert Mapplethorpe.
Chi meglio di lui nella cultura underground newyorkese anni ’80 seppe coniugare alto e basso? Pornografia e nudo, il tutto con un taglio impeccabile, una purezza formale e una prospettiva implacabile? Quanta grecità classica in alcuni scatti fotografici? Quanta proporzione e grazia in enormi falli in primo piano? Nervature che scivolano lente nello sguardo, con sobrietà. Muscolature che diventano seconde pelli, e secondi panneggi.
Schiene, cosce, glutei, piedi, ginocchia, ogni incontro nel corpo è armonia e linea, il muscolo diventa pura forma, e la linea di una gamba è un grido nell’infinito.
Mapplethorpe cancella e azzera volgarità o impurità, tutto è calibrato ed equilibrato.
I corpi sono liquidi freddati, curve su curve, paesaggi quasi metafisici.
Come non ricordare anche i bellissimi fiori? Immortalati in bianco e nero, esprimono  il loro erotismo attraverso i petali sinuosi, pieghe d’amore, una sensualità trasbordante da ogni pistillo che diventa per l’occasione un ipotetico fallo.
Le curvature dei petali divengono così panneggi di un tempo perduto, la natura è uscita da sé per svestirsi di candidi panneggi.
Villanueva e Mapplethorpe in maniere diverse incitano in noi la tattilità, propongono uno slancio a toccare quelle curve, quei corpi, quelle insenature profonde e vorticose, invogliano a perdersi tra le loro forme collinari e perfette.
Vogliono essere toccati…ce lo sussurrano.
Paesaggi corporei e paesaggi materici attraverso i quali o sguardo non può che correre perdendosi leggiadro nel soffio vitale della forma.
E’ un naufragio erotico, continuo e armonico.
Qualcuno sembra sospirare: incontriamoci là nell’infinito di quella curvatura, scivolando lentamente.

Federica Fiumelli