Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

domenica 29 aprile 2012

Vanità del corpo teatrale.

Tre parole: vanità, corpo, teatrale.
Un mio progetto fotografico.
Fotografico perché ritengo che la fotografia sia uno dei mezzi artistici che ti dona la possibilità di essere chi non sei, ti regala nuove vite.
Per me la fotografia è travestimento, finzione, gioco.
Basta pensare agli scatti di Duchamp, Cindy Scherman, Luthi, Ontani, Morimura e così via..
Vanità perché la vanitas mi ha sempre affascinata, fin da quando guardavo i primi quadri seicenteschi dove fiori teschi o cristalli, bolle di sapone apparivano sulla tela.
La vanitas perchè è in stretto rapporto con la caducità dell'esistenza e della bellezza in generale.
Vanitas vanitatum et omnia vanitas. Niente di più vero probabilmente.
Corpo, beh il corpo è il primo strumento che ci viene donato per vivere, è un veicolo di comunicazione fondamentale, in più studiando arte, dalla scultura alla pittura, alla moda, alla fotografia, alla performance, a una corrente come la body art, beh la mia curiosità verso questo strano mezzo che tutti democraticamente abbiamo è vertiginosamente aumentata.
Teatrale, eh beh il teatro, una delle mie più grandi passioni, sarà che quando ho iniziato a scoprire i mimi me ne sono innamorata, quando vidi per la prima volta il volto truccato di Marcel Marceau, si era amore completo. E poi la Commedia dell'arte italiana, la maschera, il teatro povero, Carmelo Bene. 
(non voglio fare una lista della spesa, nomino solo lampi qua e là che mi hanno segnata o meglio illuminata). 
Credo poi che per me Bene sia il teatro o quantomeno si avvicini tremendamente a quello che io intendo tale. (ovviamente tutte le forme teatrali possibili mi affascinano e le rispetto.)

Credo quindi che sia un pò per questi motivi elencati sopra che un giorno mi è venuta l'idea di fare un progetto fotografico che riunisse un pochino tutti questi aspetti.
Ho richiesto la disponibilità del teatrino parrocchiale del mio paese, ho cercato una brava brava fotografa e un altrettanto bravo bravo truccatore.
Senza i nomi di Giulia Ballotti e Andrea Collina questo progetto non avrebbe potuto prendere forma. 
Giulia che insieme a me si strusciava sul palco e trovava "il giusto occhio" da ogni angolazione, per terra, sdraiata in ginocchio, di lato, l'amore per la fotografia la si percepiva da ogni singolo movimento. E come sempre dico io non è la macchina che fa il fotografo ma quel qualcosa in più, quella visione speciale che in Giulia ho trovato.
Andrea che non si limita a truccare ma a creare veri e propri mondi su quei volti, dal tocco leggero, veloce, dalle mani piene di sfumature proprio come vere tavolozze da pittore. L'energia e la passione che ci mette parte dal cuore passa dalle mani e arriva fino alle punte dei vari pennelli per esplodere in make-up veramente unici.
Sono state cinque ore di lavoro bellissime, intense, dove ognuno di noi ha messo insieme come pezzetti di un puzzle visioni e opinioni.
E' stato interessantissimo lavorare insieme partendo da un'idea che poi pian piano di è ramificata e ha preso magari onde imprevedibili.
Da questa splendida sinergia sono nati bellissimi scatti. 
Scatti che sono solo uno dei possibili punti di vista su un pierrot, sulla sua fragilità, sulla forza evocativa del mimo, sull'unicità irripetibile del gesto teatrale, e perché no anche sulla tristezza di una maschera in-visibile.


                                                                                                      post by Federica Fiumelli













UN GRAZIE GRAZIE GRAZIE 
GRAZIE GRAZIE ancora A VOI!











lunedì 23 aprile 2012

Body or Colour Explosion? Siamo sistemi pittorici.

"Le anime più pure e più pensose sono quelle che amano i colori"
Così scriveva Ruskin.


Louis Lander Deacon, giovanissimo artista, fotografo inglese, ci propone scatti assolutamente freschi...e sicuramente AMA il colore.
Giovani (probabilmente suoi amici) coperti da tute di plastica protettive sembrano esplodere o venire travolti da colori in polvere, creando così un effetto visivo stupefacente.
E' il tripudio del colore che si disperde in aria come un'esplosione atomica.
Nessuno può salvarsi. 
La materia travolge il corpo neutro, lasciando tracce ipercolorate.
Gigantesche nubi colorate si scontrano e si prolificano in paesaggi nebbiosi di qualche bosco targato England. 
Come sosteneva il caro Klein "I colori sono i veri abitanti dello spazio", quali scatti migliori sembrano palesare queste parole?
O Matisse che definiva il colore come una liberazione, qui forse non abbiamo un'esplosione liberatoria?
Malevic diceva che ogni persona o cosa non era che una massa di colori trasformata in piani e volumi, siamo sistemi pittorici.
E Kandinskij? Come dimenticare le sue parole?
"Il colore è un mezzo di esercitare sull'anima un'influenza diretta. Il colore è un tasto, l'occhio il martelletto che lo colpisce, l'anima lo strumento dalle mille corde."


E ora godetevi questi scatti (vi consiglio di fare un salto anche sul sito dell'artista, dove troverete questo ciclo fotografico sotto la parola "surrealism"). 
"Children of the Revolution" (of colour).




                                                                                                                  Federica Fiumelli















"Amo i colori, tempi di un anelito inquieto, irrisolvibile, vitale, spiegazione umilissima e sovrana dei cosmici "perché" del mio respiro."
A.Merini





martedì 17 aprile 2012

Primo Toccare: Un trittico danzante.

Un paio di settimane fa ha debuttato sul palcoscenico del Teatro Comunale di Bologna il Balletto Teatro di Torino con la coreografia Primo Toccare di Matteo Levaggi.


"In this work I see beauty spreading in something inhuman and eternal."


Così scrive il coreografo a riguardo.
Ho avuto la fortuna di vedere il balletto, ho letto recensioni varie sparse per il web, ma fin da subito, ancor prima di vederlo dal vivo, quest'opera mi aveva attratta. (Probabilmente il titolo, le foto).
L'opera si suddivide in un trittico performativo, dove la danza è assoluta dominatrice insieme al corpo danzante.
La danza appunto, linguaggio muto, vasto, irripetibile, talvolta incomprensibile?
I tre episodi, White, Black and Red si srotolano susseguendosi in movimenti sciolti e fluidi, a tratti sincopati. Scenografia minimal ed essenziale, come la musica che percorre l'opera.
White - tutto è bianco, tutto è azzerato, in un congelamento immanente, i corpi dei danzatori si muovono a seconda del suono che si traveste da respiro, la scena è un tutt'uno che vive.
Luci bianche, scenografia bianca, installazioni del duo di artisti CORPICRUDI (Samantha Stella e Sergio Frazzingaro). In White due teche posizionate ai lati come pilastri del nulla, inglobano al loro interno due corpi vivi immobili di due modelle a loro volta vestite di bianco. Ed ecco il primo ossimoro scenico, i danzatori si alternano con i loro corpi serpentini, si sciolgono, si rialzano, si muovono, si spostano fluidamente quasi come latte (o liquido spermatico?) e le teche con le modelle fisse, intoccabili, statiche fino alla fine, lì è tutto fermo, tutto immobile, condizione post-umana? Diventeremo manichini, o lo siamo già?
In avanscena sapientemente illuminata un'altra teca, orizzontale, due fiori bianchi e un teschio dominante. Ci siamo è il trionfo della vanitas, la caducità della vita è protagonista.
La bellezza non è altro che l'effimero che si dispiega lungo il tempo che non aspetta nessuno.
Trionfa la vita o la morte? A fine del primo atto, un danzatore disteso a terra e l'altro chino sulle sue labbra con le braccia aperte all'indietro con effetto ali di cigno. E' la morte del cigno, o il risveglio dell'amore? Sicuramente è la vittoria della purezza formale stile Canova.  (il tutto mi riporta per un momento ad Amore e Psiche)






Black - La scenografia si tinge di nero, profondo, infinito, oscuro. Ecco l'installazione al centro con le due modelle poste dietro un altare dal design più che contemporaneo, leggero e trasparente. Un altare sacrificale, la musica è da rituale, se non fosse che per certezza mi stavo trovando a teatro, vi assicuro che si era creata un'atmosfera così lugubre e trascendentale, che avrei pensato di trovarmi a spiare una setta danzante tributaria del sacrificio dell'eternità della bellezza, quella che aveva tanto angosciato l'animo del giovane Dorian.




Red - L'atto finale. Luci rosse, la scenografia per tutto il balletto si è potuta ben affidare all'uso performativo delle luci. Si tratta di un assolo, il danzatore si contorce su se stesso, si amplifica, si strugge si spalma sul palco a ritmo di suoni taglienti, di affanni, sospiri in tensione. Come contorno due copie di statue greche. Eccoci da statue viventi ad un ritorno alle origini, alla purezza formale per eccellenza, al canone di Policleto risvegliato, siamo catapultati ad uno scontro diretto con la classicità Greca. La bellezza senza tempo, dal manichino di moda alla statua greca. Geniale.








Il tempo spietato che passa e la giovane bellezza che sfiora, per una visione parnassiana dell'arte dove la danza si esprime al meglio. Il tutto contornato da luci bianche, poi nere, poi rosse sapientemente distribuite, le installazioni CORPICRUDI che giocano sulla vanitas oscillando tra un gioco rimato tra antico e contemporaneo. Gli abiti dei danzatori rispettivamente bianchi, neri  e rossi, trasparenti, leggeri e adiacenti ai corpi modellati.
L'art pour l'art trova vita in questa opera, che però credo sfoderi importanti riflessioni su temi come la bellezza e il tempo. 
Ad uscita sala, ho potuto udire alcuni commenti degli spettatori comparando questo tipo di balletto a classici come può essere "Il lago dei cigni", è palese che il gusto benpensante delle signore si vada a riflettere maggiormente sulla secondo tipologia.
Ho sentito commenti del tipo: "io questi balletti , non li capisco bene, trame confuse, troppi rimandi, bravura indiscussa della compagnia di danza, ma rimane il fatto che non arriva, non si capisce insomma..."
Primo toccare è sicuramente appetitoso ed estremamente piacevole per la fruizione estetica, ma il mio personale giudizio è che l'arte non debba contenere necessariamente una trama, non ha la pretesa di essere didascalica, non ha pretesa di arrivare sempre chiaramente ed esplicitamente alla ragione. A volte vuole dire semplicemente non dicendo... Credo che un'opera di questo genere passi attraverso i sensi e che non voglia direttamente palesare niente. 
E' un accenno del tutto. E' uno spunto come già ho scritto su temi importanti che ognuno poi ha bisogno di approfondire o meno.
Concludo, ponendo enfasi sul titolo stesso del balletto.
Primo presuppone un inizio, toccare una fine.
Un continuum (cin)estetico, ve lo consiglio vivamente.
Sotto un assaggio video.


                                                                                                       FEDERICA FIUMELLI





sabato 14 aprile 2012

Urs Fischer a Venezia: come mischiare ready -made, pop-art e surrealismo. Ah già, aggiungeteci pure statue di cera e modelle nude

Chiunque può essere un artista”.
 L'ha detto lo stesso Urs quella mattina.
Era il 12 aprile, nel cortile dell'Accademia di Belle Arti di Venezia, noi studenti di Ca' Foscari aspettavamo l'inizio di aplaceforUrs per realizzare le riprese; il progetto, ideato dallo stesso artista, prevedeva la creazione di sculture in creta da parte degli studenti dell'Accademia.



Ma di chi stiamo parlando? Urs Fischer, classe 1973, trentanovenne in ottima forma, vanta una grande esperienza artistica alle spalle e un gran numero di esposizioni nei musei di tutto il mondo, che lo stanno facendo conoscere sempre di più al grande pubblico del panorama artistico contemporaneo.



Prestanza fisica, sorrisone da simpatico tedesco, capacità di dissacrare qualsiasi tentativo di elevare ed idealizzare l'arte contemporanea cercando dei significati alti ed importanti (perché magari volete fare i 'Philippe Daverio' della situazione. Lasciate perdere!). E così l'abbiamo descritto.
“Perché ho scelto il tema del gatto?”- selezionato dallo stesso artista come argomento di creazione - “Non c'è un vero perché...era un tema semplice e facile per tutti. Perché tutti possono fare arte, anche voi potete fare arte!”.


Definito da molti il Cattelan svizzero per la sue opere spesso provocatorie e disinibite, inaugura il 15 aprile a Venezia la mostra Madame Fisscher, ideata espressamente per gli spazi di Palazzo Grassi, che si concluderà il 15 luglio.
Una retrospettiva di circa trenta opere dell'artista, dagli anni '90 ad oggi, condita del suo immancabile sense of humor e un pizzico di pazzia; diciamo la verità, a prima vista ci pare che la sua 'arte di tutti' diventi un'arte per pochi, quasi di nicchia e non di facile comprensione. Non si può negare però che le sue creazioni siano folli quanto uniche, e che il suo genio possa spiazzare ma anche conquistare per l'incredibile varietà di creazioni e tematiche a cui si dedica.
Installazioni che mischiano ready-made di Duchamp, surrealismo e pop: troviamo oggetti di uso comune, banali e quotidiani, riposizionati e collocati quali portatori di significato artistico, finti animali e ortaggi. Talvolta dialogano, vengono accomunati in un'unica opera, talvolta si muovono con meccanismi a motore.


Tre sono le opere rilevanti che vale la pena citare: Madame Fisscher, che dà il titolo all'esposizione, è un’installazione che riproduce il suo caotico studio londinese, apparentemente un cubo di legno in cui sono racchiusi esperimenti artistici di ogni tipo, sparsi in maniera disordinata ed estremamente personale. 


 
Untitled sono due statue in cera a grandezza naturale: uno è lo stesso Fischer, seduto davanti ad un tavolo di legno con sopra una bottiglia, accanto a lui l’amico artista meranese Rudoph Stingel. Le opere, dotate di stoppini, sono state 'accese' dall'artista durante il vernissage, e si consumeranno lentamente nel corso della mostra.


Ed infine Necrophonia, un'installazione che ricrea uno studio d'artista, tra divani e sculture non ancora terminate, ma con una vera modella in carne e ossa. Soprattutto 'carne' visto che la suddetta è completamente nuda per tutta la durata dell'esposizione, e questo è il motivo principale per cui l'installazione/performance verrà ricordata, citata, vista, criticata o amata, per innumerevoli volte. Niente di nuovo in realtà, ma si sa: la nudità in arte fa sempre scalpore, ed assicura uno scandalo o un successo per l'inaugurazione, in entrambi i casi se ne parlerà ed è questo ciò che conta nel mondo artistico dell'oggi.





venerdì 6 aprile 2012

Un attimo di silenzio isolato in bianco e nero. Delicato.

Fumo. Evanescente. Rapido.
Un bianco e nero leggero leggero.
Freddo russo.
Un attimo.
Solo.
Un nome KRISTINA LERNER.
Artista, fotografa contemporanea, russa.
ISOLATION, MELANCHOLIA, GOLEM.
Tre parole che rievocano direttamente a immagini, ad esperienze quotidiane, quali l'isolamento e  la malinconia.
Golem, personaggio della mitologia ebraica, l'uomo di argilla inteso come ponte tra l'autore e la propria creazione che diventa sua riflessione, avversario e alter-ego. 
Ho scelto alcuni scatti dai tre progetti, ma vi consiglio di fare un tour nel sito dell'artista.
Gli scatti mi hanno colpita soprattutto per la semplicità, per il grado zero con il quale sono trattati sia dal punto di vista del colore che formale.
Penso che ognuno di noi abbia bisogno soprattutto nell'oggi super- iper- frenetico di un momento di isolamento dove quello che sta accadendo è già passato, in una continua genesi del tempo.
Cosa dire poi della malinconia? Beh ognuno di noi ha provato il distacco da qualcosa o qualcuno e il vuoto che lascia il cambiamento di posti , relazioni e quant'altro è parte integrante della vita stessa, e non penso francamente ci si possa esimere da ciò.
La Lerner quindi tratta argomenti vasti e personali con semplicità.


Ho accompagnato il lento scorrere di questi scatti con la musica di Damien Rice.
Delicate. Come questo mini viaggio fotografico credo sia.






ISOLATION










MELANCHOLIA









GOLEM